PRIGIONI
Di Dante Basili
Cap. I
QUIETE
La cosa più importante che aveva imparato da lui era il silenzio e per questo, otto anni anni fa, lo aveva chiamato Quiete.
Il suo vero nome era impronunciabile: un ammasso confuso di impulsi elettrici…
Negli ultimi tempi, durante le loro lunghe conversazioni, passavano interi minuti a guardarsi negli occhi fra un messaggio e l’ altro.
Senza fretta, senza imbarazzo.
Quegli occhi completamente neri, profondi come la notte e luccicanti come le stelle.
Avrebbe voluto toccarlo almeno una volta, ma era impossibile: il corpo degli antinoriani era percorso da pulsanti cariche elettriche che raggiungevano, per frazioni di secondo, i 320 volt e diversi ampere
Anche quando si immerse con la tuta isolante nella vasca fu una delusione: era molto meglio guardarsi così, attraverso il vetro come stavano facendo ora, ognuno immerso nel proprio ambiente naturale.
Il cicaleggio gli fece abbassare lo sguardo sul pannello di controllo, era il segnale di inizio comunicazione.
- Perché sei venuto qui?
Dopo anni di vita in comune comprese subito la qualità della domanda: Quiete non gli stava chiedendo perché avesse scelto quella base sgangherata e non la sede centrale, né perché si trovasse su Antinor. Quiete gli stava chiedendo perché avesse scelto di vivere così lontano dai suoi simili.
Aveva fatto richiesta di quella base perché era situata ai confini delle acque colonizzate e ciò gli permetteva di avere contatti costanti con gli indigeni e si trovava su Antinor perché era l’ unico pianeta extraterrestre dove un torpedologo valesse qualcosa, data l’estrema somiglianza biologica degli antinoriani con torpedini e lamprede.
Ma del perché si trovasse lì, del reale motivo, non sapeva dare risposta.
Pensò di rimandare la domanda all’ amico, opportunamente adattata:
- E tu dove vorresti essere?
- Casa!
Una risposta essenziale!
Aveva imparato, frequentando gli indigeni, a dare molta importanza alle parole.
Gli antinoriani non avevano lingua scritta, ma non per questo erano primitivi: supplivano a tale carenza con una memoria prodigiosa. Non avevano bisogno di scrivere perché “ricordavano”.
In Antinor le parole erano quasi sacre, non esistevano parole futili. Quiete era rimasto enormemente stupito quando seppe dell’ uso terrestre delle parole nella propaganda politica e commerciale: “ un mare di parole per dire una cosa sola mentre su Casa una sola parola ha un mare di significati” fu la sua considerazione.
Casa, Culla, Area Vitale… erano tutte traduzioni imprecise di quell’ impulso elettrico impronunciabile con il quale gli antinoriani nominavano il loro pianeta mentre “Antinor“non era altro che il nome del primo esploratore terrestre che lo colonizzò.
Naturalmente, per il sofisticato senso linguistico antinoriano, Quiete non si riferiva con il termine “Casa” al suo pianeta, ma alla vita in libertà fra la sua gente.
Era naturale perché Quiete era un “collaboratore”, uno schiavo, ma per lui era diverso… si trovava su Antinor per scelta e non aveva una Casa.
Sentiva ogni luogo come la sua dimora e contemporaneamente ogni luogo gli era straniero.
Quiete chiamava questo sentimento, questo senso di estraneità il “Cerchio”, il “Richiamo dell’ Universo” e lo considerava un segno di grande distinzione, mentre lui, pur subendone il fascino, non riusciva a credere a quelle antiche religioni.
Uno psicologo gli avrebbe semplicemente diagnosticato un principio di depressione…
Cap. II
ANTINOR
Un pianeta completamente immerso dalle acque, l’unica terraferma su Antinor erano le basi e le grandi città: piattaforme costruite dai terrestri su quell’ immenso oceano.
Antinor, la tristezza di Antinor…
L’ effetto malinconico del pianeta era deleterio sui terrestri, gli psicologi trovavano la spiegazione nel fatto che essere completamente circondati dalle acque per un tempo indeterminato simboleggiava per i terrestri un viaggio senza fine.
E per i più un viaggio è sostenibile solo se ha una meta, solo se avrà un termine.
Anche il senso di primordialità del pianeta trovava una razionale spiegazione: quel mare infinito ricordava ai terrestri il brodo primordiale dell’ umanità e, microcosmicamente, la vita intrauterina… forse per questo quelle acque sembravano avvolgerti e cullarti.
Oltre all’ impatto psicologico anche la resistenza degli indigeni fu fonte di non pochi problemi per i primi coloni.
La presenza di metalli pesanti sul fondo dell’ oceano indusse la Lega ad un immediato sfruttamento di Antinor, ma quelli che erano sembrati solo gli animali biologicamente più adattati del pianeta si erano rivelati creature intelligenti.
Una civiltà dalla tecnologia primitiva, ma dalle capacità belliche inaspettate.
I primi scontri si ebbero a causa di alcune uccisioni: da tempo i terrestri avevano notato quella specie di grosse anguille che, incuriosite, guardavano da lontano la costruzione delle prime basi e quando un carpentiere ne arpionò due o tre per accertarsi della loro commestibilità si scatenò il pandemonio.
Tutti i componenti della base, 28 persone, fra ricercatori e personale tecnico furono trovati due ore dopo letteralmente carbonizzati senza che si rilevassero segni evidenti di incendio, inoltre tutta la strumentazione elettronica , dallo scandaglio sonar al computer centrale , era irrimediabilmente danneggiata.
Furono chiamate le truppe speciali e solo due anni dopo si giunse alla tregua ed a una relativa stabilità.
Una volta compreso che l’unica difesa degli antinoriani consisteva in scariche elettriche di migliaia di volt generate da attacchi suicidi in massa non fu difficile progettare speciali tute isolanti, ma il problema della strumentazione elettronica permaneva.
Tutta l’ordinaria tecnologia terrestre era basata su una elettronica a basso voltaggio e pure le strumentazioni delle truppe speciali , costruite per resistere alle estreme condizioni spaziali, venivano danneggiate dagli elevatissimi archi voltaici.
La progettazione di una nuova tecnologia elettronica era economicamente inaccettabile: la spesa di una tale ricerca era superiore a tutti gli utili ricavabili dallo sfruttamento del pianeta. Si cercò di risolvere la “Questione Antinor” creando uno speciale esercito composto per lo più da ergastolani che armati di fiocina e scaricatore, a cavallo di un microsottomarino, affrontavano quelle “mostruose torpedini”. La speciale strategia adottata consisteva nell’ isolare il nemico e quindi finirlo: le tute isolanti non avrebbero retto a scariche generate da più di una torpedine ed era necessario quindi affrontarle una ad una.
Furono segnalate gesta di grande valore ed eroismo motivate dalla convenzione che garantiva ai soldati, dopo un anno di permanenza su Antinor , la revoca della pena e una remunerazione in azioni metallifere corrispondente al numero di antinoriani uccisi.
Dopo due anni dei 1238 ergastolani ed istruttori componenti l’esercito rimaneva poco più di una dozzina di uomini ed i lavori di raccolta sul fondo dell’ oceano non erano neppure cominciati… Fallita la linea dura si fece strada la possibilità della tregua: anche gli antinoriani, che avevano subito centinaia di migliaia di perdite, erano allo stremo.
Fondamentale fu l’apporto dei linguisti e dei torpedologi che dopo un approfondito studio della biologia e della lingua antinoriana crearono appositi programmi di comunicazione che permisero agli uomini politici di trattare con gli indigeni.
Le condizioni della tregua furono per gli antinoriani durissime: furono costretti a vivere su un terzo della superficie del pianeta e obbligati al momento del trattato a cedere un numero di “collaboratori “ in rapporto ai danni subiti dai terrestri.
Sui collaboratori anche adesso, a 25 anni dall’ inizio della raccolta dei metalli pesanti, si accendevano dispute: inizialmente questi schiavi venivano utilizzati con funzioni di controllo delle strutture esterne e in tutti quei lavori non facilmente gestibili da un terrestre, ma ben presto questi sfortunati antinoriani si trasformarono in “collaboratori da compagnia”. Era quasi una moda: non vi era base o casa delle piattaforme-città che non avesse almeno una vasca con il suo collaboratore. Dopo una ricerca psicologica si arrivò alla conclusione che la presenza quotidiana degli antinoriani aveva un influsso benefico sui terrestri e aumentava la capacità di adattamento all’inospitale pianeta. Il problema era quello della sostituzione: gli antinoriani già anziani al momento della cattura-trattato, morendo lasciavano un grande vuoto nella famiglia a cui apparteneva, ed il Trattato proibiva il prelievo di nuovi collaboratori. La nascita di questa nuova domanda fu alla radice del mercato clandestino degli schiavi antinoriani e nonostante le proteste indigene da una parte (che spesso degeneravano in scontri aperti) e le esemplari catture ed esecuzioni pubbliche di qualche “schiavista-capro-espiatorio”dall’ altra, le Autorità della Lega chiudevano più di un occhio su questo illecito mercato.
…Le spese in psicofarmaci dei coloni terrestri su Antinor erano ingenti e da quando si era diffusa la moda del collaboratore di compagnia si erano più che dimezzate.
Gli antinoriani… strane creature: un corpo di torpedine, una vita sociale simile a quella delle api e degli occhi che ricordavano quelli dei delfini…
Cap. III
SENTE IL CERCHIO
Da giorni era eccitato, emozionato, e non voleva ammetterlo con se stesso.
Ufficialmente al Raduno dovevano essere presenti almeno quattro delegati terrestri ma già da un mese aveva ricevuto la circolare del sostituto torpedologo, del governatore e del ministro per gli affari indigeni che si scusavano per la loro impossibilità a partecipare alla più importante festa Antinoriana.
Lo delegavano a rappresentare la Lega e lo pregavano di accettare l’incarico perché la totale assenza dei rappresentanti terrestri poteva essere male interpretata.
La realtà era che avevano paura mentre lui no… e non perché fosse coraggioso, ma perché sapeva che non vi era motivo di averne: gli antinoriani non conoscevano il concetto di vendetta, di rappresaglia e neppure di razzismo, quando un antinoriano uccideva lo faceva perché biologicamente non poteva farne a meno.
Solo toccando certi tasti si poteva scatenare in un antinoriano una reazione violenta e questo aveva fatto concludere ad alcuni studiosi che il livello evolutivo degli indigeni era prossimo a quello degli animali… inferiore da quello che ci si era aspettati dalle loro complesse strategie attuate in battaglia.
Personalmente, dopo otto anni di permanenza sul pianeta, più che a livelli evolutivi preferiva pensare a gradi di diversità: gli antinoriani non erano più o meno intelligenti, erano diversi.
In ogni caso sapeva che “Sente il Cerchio” non aveva nulla da temere, anche se fosse stato l’unico terrestre fra i cento Rappresentanti.
Quel nome gli era stato dato tre anni fa in occasione del penultimo Raduno… ne era orgoglioso ed allo stesso tempo irritato: “Sente il Cerchio” era un appellativo di prestigio che lo poneva al di sopra di molti comuni antinoriani, ma allo stesso tempo aveva un valore religioso che lo inquietava.
Quella che si poteva chiamare “religione di Antinor” aveva alcune caratteristiche peculiari: una grande importanza data al “cerchio” ed al “sogno”. Da una ricerca fatta con il computer della base aveva trovato molte analogie con alcune antiche culture terrestri di tipo sciamanico: era tutto molto interessante, ma anche totalmente irrazionale ed antiscientifico.
La conoscenza del mondo degli antinoriani era estremamente limitata: non avevano mai abbandonato le loro acque primordiali e le perenni e malinconiche nubi che avvolgevano il pianeta impedivano la percezione dello spazio cosmico eppure, quando parlò a Quiete delle stelle, delle galassie e del fatto che lui steso fosse un alieno giunto da un lontano pianeta chiamato Terra, Quiete non ne fu minimamente colpito.
- Sono solo cerchi all’ interno di altri cerchi - sentenziò
Il suo nome… Sente il Cerchio… significava in Antinor “colui che ascolta il richiamo dell’ universo” ed era un nome dato ai bambini, ma a bambini particolari: quelli che non si trastullano con i giochi e che ricercano la solitudine, che passano mezze giornate a contemplare gli eterei disegni delle alghe mosse dalla corrente… bambini che per essere utili alla società venivano educati alla conoscenza dei “Sogni” .
In Antinor si diceva anche che se uno di questi piccoli non fosse stato avviato sulla corrente della Conoscenza avrebbe sofferto non trovando né pace ne casa e quando sentiva questo proverbio sorrideva amaramente perché effettivamente vi si rispecchiava
Era il momento di partire.
Passò dal corridoio per salutare, con lo sguardo, Quiete.
Si arrestò al cicaleggio di comunicazione… strano: l’amico non lo chiamava mai al mattino.
-Parlagli di me.
non capiva cosa stava chiedendo, Quiete era stato fatto collaboratore al momento della Tregua quando era ancora molto piccolo. Da una ricerca che avevano fatto era risultato che i suoi genitori erano morti durante uno degli ultimi scontri e non si ritrovarono altri parenti. A chi doveva parlare di lui?
- Ai Rappresentanti, agli Anziani - gli rispose prima che potesse formulare la domanda
- Non é possibile, al Raduno rappresento gli interessi della Lega Terrestre e non posso parlare di un un singolo individuo.
- Tu puoi!
Ci pensò un attimo, Quiete si riferiva al fatto che per la prima volta un solo terrestre presenziava alla cerimonia e che le formalità diplomatiche erano del tutto aliene agli antinoriani.
- Cosa dovrei dire ?
- A tutta l’ assemblea, parlagli di me e di te, della mia vita alla base, dei miei desideri.
Pazzesco! dinanzi ai cento rappresentanti di quarantadue paesi parlare del rapporto idilliaco fra lui ed il suo collaboratore. Eppure sapeva che per la mentalità antinoriana non era una eventualità tanto insolita.
si ritrovò a sorridere mentre a cavallo del microsottomarino finiva di allacciarsi la tuta isolante: era tutto così “diverso”.
Cap. IV
PRIGIONI
Da tre giorni evitava di passare per il corridoio ed aveva disinserito il cicalino di avviso “inizio comunicazione”.
Solo la luce rossa, impossibile da scollegare, tremolava ai ripetuti tentavi di Quiete di mettersi in contatto.
Non aveva il coraggio di affrontarlo, di parlargli di quello che aveva visto e registrato al Raduno: sentiva incombente una minaccia che non sapeva ben definire.
Aveva paura di perderlo! Già anni fa aveva accarezzato l’idea di liberarlo in occasione di una spaventosa tempesta che aveva danneggiato parte della base: sarebbe bastato dare un colpetto in più al portello che congiungeva la vasca con il mare aperto… ma non lo fece. Non aveva paura delle autorità ne dell’ inevitabile inchiesta effettuata ad ogni smarrimento, aveva solo paura di perderlo.
Eppure si sentiva un vigliacco … era il suo migliore amico… e forse per lui ciò che era accaduto al Raduno poteva avere un senso, ne dubitava perché Quiete, aveva frequentato la sua gente solo quando lavorava nella manutenzione esterna: nella maggioranza individui incolti ed estranei alla religione.
Si decise, il sentimento di amicizia e di lealtà fu più forte del malessere che lo pervadeva e lentamente si avvicinò alla vasca.
Gli occhi neri, scintillanti, lo guardavano fisso e la luce di comunicazione aveva smesso di lampeggiare; adesso era Quiete che non voleva parlare, scorgeva nei suoi occhi e nella piega della bocca una strana emozione, rara negli antinoriani: paura.
Si fece forza e cominciò:
-Come mi hai chiesto ho parlato di te e della tua vita qui alla base dinanzi ai Rappresentanti ed agli Anziani, hanno ascoltato tutti con attenzione e poi, senza degnarmi di una risposta, hanno ripreso i colloqui a proposito delle nuove nascite.
Poco dopo, mentre mi annoiavo davanti all’ interminabile elenco dei nuovi membri della società uno degli anziani si é avvicinato e mi si é posto di fronte, era imbarazzante: il suo sguardo era così penetrante che sembrava passarmi attraverso, fui costretto a guardare altrove.
Non ricordo per quanto tempo il vecchio rimase immobile senza dire una parola finché arrivò un suo messaggio:
“ oggi Sente il Cerchio assiste alla danza della Dissoluzione Cosmica, un evento unico per un terrestre”.
Subito l’Anziano cominciò a pulsare ed oscillare dinanzi a me ed io accesi subito il vibroregistratore per permetterti, come stai facendo ora, non solo di vedere, ma anche di sentire i suoi impulsi elettrici. La danza procedeva monotona e ripetitiva quando improvvisamente mi accorsi che il vecchio stava cambiando colore: il porpora scuro che negli antinoriani é preludio di morte. Subito lanciai un messaggio di soccorso mentre cercavo nella valigetta del pronto intervento un rianimatore, ma dovetti con sgomento fermarmi: le due guardie che mi erano a fianco avevano la pinna caudale minacciosamente alzata, se avessi fatto un altro movimento mi avrebbero fulminato.
E’ un fatto inaudito che non mi sarei mai aspettato dagli antinoriani: ho dovuto, per qualche oscuro motivo, assistere alla morte di un Anziano senza poter far nulla per salvarlo…
Interruppe il racconto perché stava accadendo qualcosa di strano: gli occhi di quiete si erano spenti, come coperti da un velo, ed il suo corpo era animato da profonde pulsazioni.
La danza della Dissoluzione Cosmica!
Agghiacciato ebbe un barlume di comprensione: questa era la soluzione, il messaggio,
che l’ Anziano comunicava al giovane prigioniero: la morte!
Non poteva far nulla, le correnti all’ interno della vasca erano elevatissime e lui cominciò ad urlare nella speranza che Quiete arrestasse il processo di autodistruzione. Prese a calci e pugni il vetro infrangibile della vasca fino a farsi sanguinare le mani, solo per vedere, qualche minuto dopo, attraverso il velo del suo stesso sangue,la figura rosso porpora del compagno immobile sul fondo.
Non lo avrebbe buttato nel riciclatore come era obbligatorio fare.
Impazziva all’ idea che qualche bambino terrestre mangiasse la carne di Quiete, in scatolette, sotto il nome di “Anguilla di Antinor”.
Era l’unico torpedologo rimasto sulla base e un importante agente diplomatico … poteva fare di testa sua.
Aprì il portello della vasca ed il corpo dell’ amico , risucchiato dal gorgo, si riversò nel mare.
Il mare, la Casa, avvolgeva completamente quel corpo inerme.
Chiuse gli occhi, il susseguirsi degli eventi lo avevano reso insensibile, ma sentiva che presto sarebbe giunta una crisi emotiva.
Improvvisamente il segnale di allarme: un antinoriano si stava allontanando a grande velocità dalla base, strano, forse era talmente sconvolto da non averne sentito l’avvicinamento… Macchinalmente accese lo scandaglio sonar.
Era Quiete, che a tutta birra se la stava filando verso il mare aperto!
Al colmo dello stupore riuscì a malapena a trasmettere il messaggio:
- Cosa sta succedendo?
Sullo scandaglio vide il corpo dell’ amico rallentare fino a fermarsi e, dopo un attimo interminabile, giunse la risposta:
- L’ anziano aveva visto che tu non conoscevi la danza che noi utilizziamo, in caso di bisogno, per ibernarci e così ha usato la tua non-conoscenza per istruirmi sul come fuggire.
- E’ stata una follia, se ti avessi gettato nel riciclatore…
- Impossibile! ‘Sente il Cerchio’ non avrebbe mai fatto una cosa del genere, l’Anziano lo sapeva.
Certo, l’ Anziano lo sapeva, come sapeva che ora non avrebbe inseguito Quiete e che chissà quali frottole avrebbe raccontato agli ispettori durante l’inchiesta di smarrimento… il vecchio lo aveva aiutato a fare solo ciò che già da tempo voleva fare.
Quiete aveva ripreso la sua corsa e lui lo inseguiva con lo sguardo: sullo scandaglio la figura si faceva sempre più piccola e indistinta quando, all’ improvviso, giunse un ultimo messaggio:
- Anche tu un giorno troverai “Casa”.
(in ricordo di Hin-mut-too-yah-lat-kekht , Tuono-che-romba-nelle-montagne, conosciuto anche come “Capo Giuseppe”
DANTE BASILI